USA 2 - California, Arizona, Nevada e New York
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Diario

Nella tarda primavera del 1992 per una serie di eventi favorevoli ci troviamo con qualche lira in tasca. I ragazzi hanno finito le scuole ed abbiamo voglia di andare in vacanza.  Pensiamo ad un viaggio negli Usa. Decidiamo subito che vogliamo visitare la costa ovest: la California ed i deserti dell'Arizona e del Nevada. Facciamo quattro conti e arriviamo alla conclusione che servono almeno tre settimane: due sulla costa ovest ed una a New York. Giriamo per le agenzie alla ricerca di un viaggio organizzato e restiamo perplessi dai prezzi. Alla fine optiamo per il turismo 'fai da te'.  Decidiamo un itinerario di massima (un ampio anello che parte da Los Angeles va ad est, nel cuore dell'Arizona, poi a nord attraverso il deserto del Nevada, quindi ad ovest, verso San Francisco e infine a sud, sino a Los Angeles. Da Los Angeles poi pensiamo ad un volo a New York per una visita di qualche giorno. Comperiamo una guida turistica e Davide si incarica di fare l'itinerario. I 'must' sono:  tappe da non piu' di trecento km al giorno con almeno due soste di due giorni per consentire alle lavanderie di fare il loro lavoro. Una volta deciso l'itinerario scegliamo il vettore. I prezzi migliori sono quelli della TWA che, con l'acquisto del biglietto ci offre la prenotazione gratuita ed a prezzi scontati dell'auto e degli alberghi a Los Angeles, San Franciso, Page e New York. A meta' agosto comperiamo una telecamera (tuttora in uso, anche se ormai tecnologicamente superata) mettiamo un po' di abiti in due valige (soprattutto magliette e pantaloni corti) e ci imbarchiamo da Malpensa in un luminoso sabato mattina. Arriviamo a Los Angeles che e' ormai buio. ritiriamo la macchina (una berlina quattro porte con aria condizionata che ci viene noleggiata per quindici giorni a meno di 700 dollari), troviamo, con un po' di difficolta', l'albergo (un Holiday Inn , 220 dollari per tre notti)  e appena sistemati usciamo alla ricerca di un Mc Donald. In realta' siamo stanchissimi ma i ragazzi premono per questo incontro ravvicinato con il fast food doc.  Il giorno dopo belli riposati, raggiungiamo le colline di Beverly Hills per vedere la citta'  dall'alto. Restiamo delusi: la citta' e ' davvero molto estesa (almeno una cinquantina di km) c'e' un po' di foschia e tutto quello che riusciamo ad intravvedere e' qualche palazzo piu' alto degli altri. Pazienza. 

E' domenica mattina, c'e' il sole e siamocontenti di essere arrivati. Facciamo quattro passi, scendiamo a Rodeo Drive (i negozi, costosissimi, sono chiusi)  ed alla fine ci mettiamo alla ricerca del centro della citta'. Impresa vana. Cerchiamo una piazza dal nome spagnolo e ci troviamo in un  quartiere messicano. Meglio cosi': e' piu' facile intendersi. Ci infiliamo in un ristorante cinese e ingurgitiamo qualcosa che assomiglia a pollo. Dopo pranzo insistiamo un po' per trovare il centro, poi lasciamo perdere e ci dirigiamo verso il mare, raggiungiamo Venice e quindi Santa Monica. Parcheggiamo, passeggiamo sulla spiaggia, ci bagnamo i piedi nel pacifico, visitiamo un molo, grande e attrezzato quasi come un centro commerciale. Ceniamo in un ristorante tailandese (ottimo) e ritorniamo in albergo.  Lunedi mattina ci svegliamo presto, ci infiliamo in macchina e raggiungiamo Disneyland. L'antesignana di tutte le citta' del divertimento e' fedele alla sua fama. 

Disneyland
Calico la citta' fantasma
Giriamo per tutto il giorno, proviamo innumerevoli attrazioni (persino un sottomarino) e in serata, stanchi e abbastanza soddisfatti torniamo in albergo. Martedi' iniziamo il tour: Natale guida e Davide fa il navigatore. Ci mettiamo in macchina, viaggiamo per un paio d'ore e finalmente usciamo dalla citta'. Prendiamo la statale 15 che ci porta prima a San Bernardino e poi a Barstow. Subito dopo Barstow prendiamo la statale 40 e cominciamo a vedere le indicazioni per una ghost city. Seguiamo i cartelli e, con una deviazione di pochi minuti ci troviamo a Calico, una citta' abbandonata nelle vicinaze di una miniera d'argento. Fa molto caldo ma la cittadina e' affollatissima: sembra un dependance di disneyland: gli edifici, forse originali, sono stati attrezzati ad uso e consumo dei turisti con attrazioni di ogni tipo. Volendo un finto trenino a vapore ti porta all'interno della miniera, e ovunque 
negozi di souvenir e paccottiglia. Ci fermiamo solo pochi minuti poiche' oggi  dobbiamo fare una tappa lunga. Riprendiamo la marcia e in poco tempo siamo in mezzo al deserto del Mohave; per tutto il percorso, da Barstow  a Needele (circa 200 km) non vediamo distributori di benzina. Vediamo solo un'area di sosta con cartelli di 'attenzione' ai serpenti e una locanda. Non un fast food ma quasi, ove alcune attempate signore in variopinti abiti stile western servono hamburger e patatine. Il deserto e' spettacolare: il terreno e' compatto con molti arbusti e alberi di yucca che qui' chiamano 'joshua tree'. In lontananza si vedono alcune montagne rossastre ed il caldo e' soffocante. nel pomeriggio arriviamo a Needles, una cittadina di confine e in pochi minuti siamo sul ponte che attraversa il fiume Colorado (che segna il confine tra California e Arizona). Il Colorado, visto dall'alto non sembra un fiume ma un enorme torrente fangoso. Il colore e' bruno scuro e il 
i cartelli di 'attenzione' ai serpenti
Montezuma castle
paesaggio circostante, roccioso e quasi privo di vegetazione, non e' invitante. Ancora un'ora di viaggio e siamo Kingman. una media cittadina dell'Arizona. Troviamo facilmente un albergo e ci sistemiamo.   Mercoledi' giornata luminosa. Dobbiamo raggiungere Page, una cittadina nel nord dell'Arizona, al confine con lo Utah ove faremo tappa per due giorni. Proseguiamo sulla statale 40 fino a Flagstaff poi prendiamo l'89, che attraverso il painted desert, porta a Page.  Da Kingman a Flagstaff il panorama cambia. L'interno dell'Arizona, pur disabitato, e' verde e apparentemente vivibile. Facciamo sosta in un parcheggio ai margini della strada e guardiamo il panorama. Siamo a mezza costa su di una collina ed abbiamo visibilita' per decine di chilometri. Non riusciamo a vedere ne' una strada ne' una casa. Solo una ampia ed uniforme macchia verde. E' sempre molto caldo. Ci fermiamo in un fast food per pranzare (il pranzo nei fast food e' quasi 
obbligatorio: non per scelta ma perche' sulle strade non ci sono quasi mai alternative). Arriviamo a Flagstaff, imbocchiamo la 89 e puntiamo a nord. Il panorama cambia ancora. Il paesaggio diventa piu' arido e  lungo la strada vediamo le indicazioni per un sito chiamato 'Montezuma Castle'. Lo raggiungiamo e ci troviamo di fronte ad un palazzotto costruito all'interno di una gigantesca grotta. Il palazzotto non e' visitabile (anzi possiamo vederlo solo da lontano) e tutto intorno c'e' un clima da disneyland (una costante questa che ci accompagnera' in quasi tutto il viaggio: in ogni luogo ove c'e' qualcosa da vedere troviamo sempre fast food, negozi di merce per turisti, guide, fotografi ed altre amenita').  Leggiamo su di un cartello che si tratta di un monumento nazionale navajo. In realta' il palazzotto e' piuttosto modesto: una costruzione bassa e rettangolare con il tetto piano ed una torretta alta una decina di metri. Riprendiamo la strada e sempre attraversando il painted desert e raggiungiamo Page. La cittadina e' un'oasi di verde: sorge sul lago Powel (un lago sul fiume Colorado). Le acque sono di un azzurro intenso. La cittadina e'  piena di chiese. Troviamo una lavandera alla quale affidiamo i nostri capi. Una donna, apparentemente navajo, li infila tutti in un'enorme lavatrice e ci saluta. In serata entriamo in un locale ove una band formata da due chitarristi suona musica western. Gli avventori sembrano usciti da un film: stivali (senza speroni), camice colorate, pantaloni e giubbotti in tessuto jeans. Giovedi' altra giornata di sole: prendiamo l'auto, imbocchiamo nuovamente
la 89 e torniamo sui nostri passi sino ad un luogo chiamato Cameron. Qui' giriamo a destra e nel giro di un'ora siamo al punto di osservazione del Grand Canyon. Solita folla di turisti e solita disneyland. Il grand canyon e' imponente: siamo piuttosto in alto e da una parte vediamo i canyon scavati dal Colorado (che impetuoso e limaccioso scorre sul fondo) e  dall'altra la vasta e assolta pianura del painted desert. Raggiungiamo una costruzione semiconica alta una ventina di metri chiamata torre navajo.  Saliamo sino in cima. Il panorama e' particolarmente bello. Il deserto cambia colore a seconda della distanza: i primi chilometri sono rossastri piu' in la diventano verdi ed in lontananza tornano ad essere rossastri. Pranziamo a Cameron, che non e' un paese ma un 'trading post': un edificio in stile messicano con finestre dai vetri colorati e chincaglierie appese ovunque.

Daniele e Davide sulla terrazza del Grand Canyon
 Il locale sembra gestito da indiani navajo e all'interno oltre ad un servizo di caffetteria si vendono merci di vario tipo. Il pranzo e' messicano: tacos e salsa chili.  Prima di lasciare il locale acquistiamo per pochi dollari due quadri navajo formati da granellini di sabbia colorata incollati alla tela. I due quadri rappresentano alcune semplici figure indiane che in questa zona si trovano dipinte ovunque. Nel pomeriggio torniamo a Page, visitiamo la cittadina e torniamo in lavanderia per ritirare i nostri capi. Il lavoro non e' stato molto accurato e alcuni capi si sono stinti. Nulla di grave, speriamo che siano almeno puliti. Venerdi' lasciamo Page e ci dirigiamo verso Monument Valley: una zona pianeggiante all'interno della quale si ergono i torrioni rocciosi che hanno fatto da sfondo a innumerevoli film. La strada 160 corre in una landa arida e disabitata e porta ad un punto di confine in cui si incontrano quattro stati: Arizona, Utah, Colorado e New Mexico. Durante il percorso siamo attirati da una formazione rocciosa a foma di   testa allungata. Ci fermiamo, chiediamo informazioni ad un
monument valley
gruppo di nativi che presidia un banchetto di chincaglieria. Ci dicono che il massiccio si chiama El Capitan. Natale tira furi la cinepresa e quando si gira si accorge che il gruppo di indiani e' sparito. Hanno lasciato il loro banchetto e si sono nascosti da qualche parte. Ci vengono in mente certe leggende circa il fatto che gli indiani non amano essere ripresi. Quando riappaiono Anna, forse per farci perdonare, acquista una copia di orecchini di metallo argentato sui quali e' raffigurata un'aquila. In serata raggiungiamo Monument Valley e ci mettiamo subito alla ricerca di un albergo per la notte. Non siamo fortunati: l'unico albergo e' pieno e siamo costretti a tornare sui nostri passi per una ventina di miglia, sino a quando, finalmente, riusciamo a trovare una sistemazione. Preoccupato dall'inconveniete Natale telefona al servizio clienti della catena Best Western e, con un po' di fatica (per problemi di lingua), prenota tutti gli alberghi necessari al completamento del  tour.  Dopo cena proviamo a fare quattro passi nel deserto. Usciamo ma rientriamo quasi subito. Nonostante sia agosto la serata e' piuttosto fredda. In questa zona il clima 
e' particolare: di giorno c'e' un caldo soffocante e di notte si gela. Sabato raggiungiamo il punto di osservazione di Monument Valley ed ammiriamo il panorama. Poco prima di mezzogiorno ci rimettiamo in marcia, entriamo nello Utah e ci dirigiamo a ovest, verso Las Vegas. durante la strada ci fermiamo qualche minuto ad ammirare il villaggio navajo di Betatatkin. anche questo e' all'interno di una enorme grotta ma, a differenza di Montezuma Castle, e' formato da diverse costruzioni, tutte basse e con il tetto piatto. Il villaggio e' irraggiungibile: sorge in un'enorme grotta posizionata sul versante opposto della vallata in cui ci troviamo e non si vedono strade per raggiungerlo. Ci accontentiamo quindi di vederlo da lontano. 
un arco naturale all'interno dello Zion Park
Riprendiamo la marcia, entriamo nel Nevada e attraversiamo lo Zion Park un parco nazionale all'interno del quale si possono ammirare alcune enormi archi naturali. Nel pomeriggio raggiungiamo Las Vegas. Ci sistemiamo in albergo ed usciamo subito per visitare la citta'. Las Vegas e' una disneyland per adulti: negozi, case da gioco, spettacoli musicali e alberghi. Spesso le quattro attivita' sono presenti nella medesima struttura. Finche' c'e' luce camminiamo lungo la via principale. All'imbrunire ci infiliamo in una casa da gioco (L'Harras caratterizzato da un edificio a forma di battello fluviale), ci dirigiamo verso il ristorante e con una cifra tutto sommato onesta facciamo un pasto quasi normale (carne grigliata e 
patate alla brace). Dopo cena arrischiamo 10 dollari alle slot machine. Le perdiamo quasi subito ed usciamo. Di notte la citta' e' ancora piu' affascinate. La via principale e' piena di luci e di musica. Ci infiliamo nel Caesar Palace (che dicono sia stato costruito in pochissimo tempo) e restiamo abbagliati. E' un enorme capannone all'interno del quale e' stato allestito un centro commerciale con annessa casa da gioco. Ci sono negozi, case, strade, monumenti, fontane e un bel cielo azzurro, naturalmente dipinto. Domenica ci rimettiamo in marcia verso nord. Prendiamo la statale 95 e percorriamo un centiano di miglia. Il panorama assomiglia a quello del deserto del mohave (arbusti e piante di yucca) solo che non e' piu' pianeggiante ma presenta all'orizzonte, sia a destra che a sinistra, una catena di montagne rossastre. Ci fermiamo a Betty per fare colazione. Riprendiamo la marcia, raggiungiamo Goldfield (campo d'oro) e ci fermiamo ad osservare la cittadina. Sorge lungo la 95 ed accanto a case ed edifici fuzionanti si vedono molte case in legno, abbandonate e cadenti. Dappertutto ci sono carcasse di auto e autocarri abbandonati, ma contrariamente a quanto puo' apparire la citta' e' vitale: parecchio traffico (sempre e soltanto lungo la statale), un centro commerciale, qualche fast food  e ogni tanto strade sterrate che si staccano dalla strada principale e portano in qualche luogo in mezzo al deserto. Lasciamo Goldfield ed in serata siamo ad Hawthorne in un albergo in cui faremo tappa per qualche giorno.  L'albergo si chiama Desert Inn (un nome un programma) ha stanze confortevoli (le nostre hanno anche un piccolo vano cucina) una piscina di acqua fredda ed una di acqua calda. La cittadina e' curiosa: oltre all'abergo, al centro commerciale ed all'immancabile casino' ci sono alcune case di legno (credo abitate) ed un quartiere recintato e chiuso, di villette in legno in stile anni sessanta, completamente abbandonate. Pranziamo (benissimo) nel ristorante del Casino' (in Nevada e' una costante: le case da gioco offrono una cucina di discreto livello ad un prezzo assolutamente onesto: ci hanno poi spiegato che il cibo invitante e a basso prezzo e' un formidabile richiamo per i giocatori). Pranziamo ma non ci lasciamo attirare dalle slot
Yosemite national park

  machine. Facciamo quattro passi e torniamo in albergo.   Lunedi' prendiamo una strada stretta (poco piu' di una corsia) lunga una trentina di km che ci porta a Yosemite, nel cuore della Sierra Nevada. Lungo la strada non vediamo una casa e non incrociamo nessun altro mezzo. Una volta giunti al parco lasciamo l'auto e facciamo quattro passi sulle rive di un laghetto; saliamo su di uno spuntone roccioso ed ammiriamo il panorama. Vediamo il monolite di granito chiamato El Capitan (lo stesso nome del monolite di monument valley, anche se di dimensioni ben diverse): un panettone di roccia, privo di fenditure, che supera i 2300 metri. Oltre al monolite si vedono altre vette rocciose che nell'insieme offrono uno spettacolo grandioso. 

Torniamo abbastanza presto in albergo sempre lungo la stradina lunga e stretta e anche questa volta non incrociamo nessuno. Nel pomeriggio approfittiamo della piscina per fare qualche tuffo ed una nuotata. Martedi' ci dirigiamo nuovamente a nord, sino al lago Taoe, il piu' grande lago montano del nord america. Siamo a poco meno di duemila metri ma, nonostante l'altezza, la vegetazione e' ancora piuttosto folta. Prevalgono gli abeti e la strada che corre lungo il lago ricorda un paesaggio svizzero: foreste, acqua,  prati e chalet. Ci fermiamo ad un piccolo bar per prendere un caffe'. L'interno e' diverso da quello dei soliti fast food: niente plastica, vetri e luci  multicolori ma un ambiente tranquillo, sia l'edificio che l'arredamento sono in legno chiaro, stile tirolese e alle pareti sono appesi quadri con il panorama di Saint Moritz e di Cervinia. lasciamo il lago e decidiamo di tornare ad Hawthorne passando da Virginia City, una cittadina al centro di una ex zona mineraria. La cittadina sorge sulla cima di una collina ed e' formata da una sola via ai bordi della quale sorgono le case ed i negozi. Sembra che in passato fosse una citta' ricchissima oggi invece e' la solita disneyland ove ormai quasi tutto (persino il campanile della chiesa) e' finto. Rientriamo in tempo per un tuffo in piscina, ceniamo al solito ristorante con annesso casino' e dopo cena arrischiamo dieci dollari alle slot machine. Le perdiamo e torniamo in albergo. Mercoledi' lasciamo Hawthorne e ci dirigiamo ad est, verso San Francisco. Ripercorriamo la stradina stretta fatta due giorni prima, superiamo il parco nazionale di Yosemite e corriamo verso il pacifico. Mano a mano che ci avviciniamo alla costa il panorama cambia. Dopo il parco nazionale scendiamo sin quasi al livello del marei e cominciamo ad intravvedere zone coltivate. Aumentano anche le citta', ed ogni volta che se ne deve attraversare una troviamo semafori e traffico. Su di una collina vediamo decine, forse centiania di impianti eolici. Torri dotate di gigantesche pale che girano lentamente e producono elettricita'. Arrivati a San Francisco troviamo il traffico delle grandi citta' e fatichiamo un poco per trovare l'albergo. Siamo fortunati: L'albergo e' abbastanza in centro e ci sistemano in una suite con due camere da letto, un salotto ed una cucina. Usciamo ma rientriamo subito dopo cena: non conosciamo la citta' e siamo piuttosto stanchi. Giovedi giorno di visita. Comperiamo
 una piantina della citta' e ci dirigiamo subito verso la zona portuale. Visitiamo il 'Pier 39': un enorme molo, a due piani, trasformato in centro commerciale. Da una terrazza sul molo vediamo alcune banchine galleggianti affollate da giganteschi animali che sembrano leoni marini: prendono il sole, si tuffano, risalgono sulle banchine e si mettono di nuovo al sole. Ogni tanto qualcuno emette una verso gutturale piuttosto minaccioso ma, tutto sommato, sembrano abbastanza tranquilli.  San Francisco assomiglia ad una citta' europea: sulle strade, alberate e pulite, corrono ancora parecchi tram su rotaie. In una piazza vediamo esposta, come se fosse un monumento, una vecchia motrice delle linee interurbane dell'ATM di Milano, evidentemente un dono di Milano alla citta' dei tram. Sulla motrice sono ancora presenti lo stemma del comune ed il logo dell'ATM. Siamo nella citta' dei tram e quindi prendiamo un tram turistico (in realta' un bus a forma di tram) che con pochi spiccioli ci porta a spasso affrontando, con un po' di timore da parte nostra, le salite e le discese tipiche
il 'pier 39' di San Francisco
San Francisco: leoni marini che prendono il sole
 della citta'.  San Francisco e' una citta' di contrasti: accanto a palazzi ottocenteschi in stile parigino si vedono alti edifici in vetro e acciaio. Particolarmente notevole e' una edificio triangolare molto alto e slanciato (quasi una piramide a due dimensioni, solo base ed altezza). Terminato il giro sul simil tram ci fermiamo ad uno nei numerosi banchetti che affollano la zona dei pescatori (fisherman's wharf)  e con pochi dollari facciamo uno spuntino caldo a base di crostacei. Una vera squisitezza: evidentemente questa zona e' ricca di granchi e scampi. Dopo lo spuntino saliamo su di una barca (red and white fleet) che ci porta a spasso per la baia. A bordo suonano 'San Francisco' e l'atmosfera e' piuttosto rilassata. Costeggiamo il porto (vediamo ancorata anche la 

San Giorgio, una nave della nostra marina militare) e ci avviciniamo all'isola di Alcatraz: il penitenziario, ora in disuso, e' diventato un'attrazione turistica. Superiamo l'isola e ci avviciniamo al golden gate bridge, il famoso ponte sospeso che domina la baia. C'e' un po' di foschia (sembra che qui' il tempo sia sempre cosi') e pur trovandoci sotto l'arcata centrale, non riusciamo a vedere le due estremita'. In compenso, durante il rientro, ammiriamo dal mare la skyline della citta'. Venerdi' giorno di scoperte. Oggi esploriamo la zona sud di San Francisco e ci spingiamo sino a Monterey e Carmel costeggiando il mare. La strada costiera e' piuttosto lenta: una serie di curve e controcurve limitano la velocita' ma in compenso ci consentono ammirare il panorama. Lungo la strada ci fermiamo piu' volte per ammirare i leoni marini che affollano alcuni isolotti ad un centinaio di metri dalla costa e gli scoiattoli che, numerosi, corrono lungo i macigni frangiflutti che delimitano la spiaggia. Per tutto il tratto troviamo a destra il mare ed a sinistra ville, parchi ed alberghi di lusso. In un campo da golf vediamo alcuni caprioli. Arriviamo a Monterey (una cittadina balneare, pulita ed ordinata) e visitiamo Carmel, una missione costruita nel 1770 dai primi missionari colonizzatori, giunti dal Messico.   Sabato siamo di nuovo in viaggio. Lasciamo San Francisco e prendiamo la statale 1 (la pacific higway) che ci porta a sud. la strada e' abbastanza stretta, solo una corsia per senso di marcia ed in alcuni tratti ricorda l'aurelia (con citta' molto piu' distanti tra loro). C'e' poco traffico, ce la prendiamo comoda e ammiriamo il panorama. Nel primo pomeriggio siamo a Morro Bay una cittadina a meta' strada tra San Franciso e Los Angeles. Ci fermiamo in un albergo ove, per la prima volta da quando siamo negli USA, non ci vengono chiesto in anticipo il pagamento delle stanze. L'albergo sorge in un parco e c'e' molto verde. La sera ceniamo nel ristorante dell'albergo, la cena e' discreta,  la luce tenue e qualche candela accesa creano atmosfera.  Domenica siamo a Los Angeles abbastanza presto. Torniamo a Venice e quindi a Santa Monica. Gironzoliamo un un po' sulla spiaggia e infine ci sdraiamo a prendere il sole. Oggi e' l'ultima domenica d'agosto, il tempo e' bello, fa abbastanza caldo ma la spiaggia, pur sabbiosa  e pulita, e' piuttosto deserta. L'unica nota di colore e' data da una persona che, con un cercametalli, sonda larghi tratti di spiaggia. Nel pomeriggio ci imbarchiamo per New York ove arriviamo in serata. Alloggiamo in un albergo che si chiama Helmsley Middeltow, sulla 48th di Manhattan che, per 100 dollari al giorno, ci offre un appartamento con due camere e un piccolo salotto. Appena sistemati  usciamo per cercare un ristorante. Finiamo in una specie di fast food ove servono cibi messicani (contrariamente a quanto pensavamo la citta' e' affollata da messicani e in alcune zone lo spagnolo e' la lingua piu' diffusa). Lunedi' siamo alla scoperta di Manhattan. Usciamo presto e ci dirigiamo verso sud, verso i grattacieli. Siamo abbastanza in centro, vicini al Gran Central Station e a Times Square. Camminiamo lungo la quinta avenue che assomiglia ad un canyon  artificiale. Ci sono moltissime persone

 a piedi che probabilmente, vanno in ufficio. Le donne, ben vestite e curate, portano quasi tutte scarpe da tennis (ci dicono pero' che poi in ufficio le cambiano e si mettono scarpe eleganti). I negozi espongono merce costosa. Vediamo i baracchini che vendono salsicce e lunghe file di taxi gialli. Lentamente raggiungiamo l'Empire State Buiding e saliamo sino in cima per ammirare la citta' dall'alto. Facciamo qualche foto con le torri gemelle alle spalle, scendiamo e riprendiamo l'esplorazione. Ci dirigiamo verso sud, verso wall street e la zona finanziaria. Giunti in prossimita' delle torri gemelle ci fermiamo qualche momento ad ascoltare la musica. E' mezzo giorno e alla base di una delle due torri e' stato allestito un palco sul quale una band suona canzoni famose. C'e' musica dappertutto. Alcuni artisti suonano strani strumenti simili a pentoloni di rame, che emettono suoni dolci e nell'insieme una piacevole melodia. Nel pomeriggio siamo un po' stanchi. La citta' e grande  e decidiamo di visitarla in maniera piu' comoda. Sulla ottava avenue, tra la 53th e la 54th troviamo un vettore turistico che per 28 dollari a testa ci porta in giro per quattro ore, con guida parlante italiano. A bordo del torpedone visitiamo il quartiere cinese,  arriviamo sino al parco Battery, all'estremo sud,  dal quale vediamo 

la statua della liberta'. Poi torniamo a nord, costeggiamo l'East River,  passiamo sotto i ponti di Brooklin e Manhattan, superiamo il palazzo delle Nazioni Unite e rientriamo in citta', passando per il Rockefeller Center ed il Lincoln Center. Costeggiamo quindi Central Park e ci dirigiamo ad Harlem ove sostiamo per qualche minuto per ammirare il quartiere di Strives Row con le case in arenaria scura.   Martedi' andiamo dall'altra parte della citta': prendiamo la metropolitana ed andiamo a sud, ove partono i tragetti per Staten Island. Non ci interessa tanto il luogo quanto il tragitto: con pochi spiccioli (si paga solo l'andata e non il ritorno) passiamo davanti alla statua della liberta' e ci 

godiamo una minicrociera nella baia. Nel pomeriggio prendiamo di nuovo la metropolitana, passiamo sotto l'East River e sbarchiamo a Brooklyn. Il quartiere e' tranquillo: case decorose, molto verde e qualche accento italiano. Torniamo a Manhattan a piedi, passando sul famoso ponte. Mercoledi' giornata di shopping. Oggi e' l'ultimo giorno pieno, siamo a New York e sarebbe un peccato non fare spese. Davide ci lascia poiche' preferisce visitare il Guggenheim. Ci diamo appuntamento per mezzo giorno in un ristorante. Noi entriamo in un grande magazzino e comperiamo di tutto: uno swatch (ad un prezzo non troppo conveniente; quando chiedo spiegazioni il venditore mi dice che i prezzi sono decisi dagli acquirenti: solo italiani e notoriamente pazzi), scarpe, lenzuola, maglie, magliette e videogames. In serata usciamo e ammmiriamo la citta' di notte. Ceniamo in un ristorante nei pressi del Radio City Music Hall poi ci incamminiamo lentamente sulla Broadway. Superiamo Times Square e arriviamo sino ai magazzini Macy's, insegne luminose, musica, teatri, locali e negozi dappertutto. Stiamo fuori per un paio d'ore poi prendiamo la metro e torniamo in albergo.   Giovedi' ultimo giorno negli USA. Pioviggina (per la prima volta in ventun giorni) e tutto sembra in tono minore. Facciamo quattro passi intorno all'albergo. Entriamo in un caffe' e facciamo colazione. Visitiamo una strada piena di negozi gestiti da messicani e gente di colore in cui si vendono, a prezzi convenienti articoli tecnologici (radio, tv telecamere orologi e macchine fotografiche) prodotti, forse, in Cina. Subito dopo pranzo prendiamo un taxi e filiamo verso l'aeroporto.   

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